SIMBOLI DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZISTI

La selezione dei prigionieri
Appena arrivati a destinazione i treni venivano rapidamente scaricati del loro triste carico umano e avveniva la selezione, tra gli abili al lavoro e coloro da inviare direttamente alla morte.
L’area veniva circondata da uomini delle SS armati e da altri internati che provvedevano ad accostare rampe in legno alle porte dei vagoni per semplificare e velocizzare la discesa dei nuovi arrivati.
Gli stessi internati  che avevano l’assoluto divieto, pena la morte, di parlare con i nuovi arrivati per evitare il panico negli stessi  provvedevano a scaricare i treni in arrivo dei bagagli che successivamente venivano portati presso il settore Kanada di Birkenau dove si effettuava la cernita e l’imballaggio dei beni per il successivo invio in Germania.
Gli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini formando due distinte file. A questo punto personale medico delle SS decideva chi era abile al lavoro.
Mediamente solo il 25% dei deportati aveva possibilità di sopravvivere. Il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era inviato direttamente alle camere a gas. Le percentuali abili/gasati fluttuarono per tutto il corso del conflitto, in base alle esigenze dell’industria bellica tedesca diretta da Albert Speer. Vi furono casi di interi treni di deportati inviati direttamente alle camere a gas senza nessuna selezione a causa del sovraffollamento del campo e del preventivato rapido arrivo di nuovi convogli, soprattutto durante lo sterminio degli ebrei ungheresi nel 1944.
La selezione era operata esclusivamente da personale medico delle SS, uno o più dottori a turno operavano il servizio alla rampa.
È importante notare come in questa fase le SS mantenessero un comportamento gentile e accondiscendente al fine di mascherare le loro intenzioni e velocizzare le operazioni di scarico e selezione, infondendo falsa fiducia nei prigionieri appena arrivati, normalmente stanchi e confusi dal lungo viaggio.
Coloro considerati non utili allo sforzo bellico venivano inviati immediatamente in una delle quattro camere a gas mascherate da docce situate a Birkenau dove, in gruppi, i prigionieri venivano uccisi con gas letali (di solito Zyklon B). Un’altra camera a gas, la prima costruita, era presente anche ad Auschwitz e fu operativa dal 15 agosto 1940 al luglio 1943, quando fu definitivamente abbandonata in favore delle più “efficienti” camere presenti a Birkenau. I deportati venivano trasportati (a piedi o con grossi camion) verso le camere a gas, che si trovavano dall’altra parte del campo rispetto alle banchine di arrivo. Qui giunti venivano introdotti in un locale camuffato da spogliatoio con tanto di descrizioni multilingue delle procedure per il successivo recupero dei vestiti.

I prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano, anzitutto, consegnare biancheria e abiti civili, nonché tutti i monili di cui erano in possesso; venivano privati, inoltre, dei documenti d’identità eventualmente posseduti. Uomini e donne potevano conservare solo un fazzoletto di stoffa; agli uomini era concesso conservare la cintura dei pantaloni.
Successivamente, i prigionieri venivano spinti nel locale in cui erano consegnati ai barbieri, che li radevano su tutto il corpo. L’operazione era condotta in maniera sbrigativa, dopo aver inumidito le zone sottoposte a rasatura con uno straccio intriso di liquido disinfettante.

Passaggio successivo era la doccia, cui seguiva la distribuzione del vestiario da campo: una casacca, un paio di pantaloni e un paio di zoccoli.
I detenuti ritenuti “abili al lavoro” dovevano lavorare fino allo stremo per numerose ditte tedesche, tra cui la I.G. Farben, produttrice del gas che serviva a sterminarli, la Metal Union e la Siemens. Nel campo non c’erano servizi igienici, nessuna assistenza medica, fame ed epidemie erano all’ordine del giorno.

La gestione dei prigionieri.
Rasati a zero, scorticati con rasoi senza filo fin nelle parti intime, disinfettati con prodotti urticanti e lavati nel peggiore dei modi con acqua bollente alternata alla gelata, ai prigionieri arrivati venivano poi dati i logori panni del campo, costituiti da specie di “pigiami” a strisce grigie scure e chiare o abiti riciclati con grandi toppe visibili tolti ai deportati prima di loro. Pesanti e spaiati zoccoli di legno completavano la “divisa”. Poi i detenuti ricevevano un numero progressivo che veniva tatuato loro sull’avambraccio sinistro.
Seguiva la registrazione del numero compilando una scheda con i dati personali (Häftlings-Personal-Karte) e con l’indirizzo dei familiari più prossimi. I neo entrati venivano avvisati che d’ora in avanti non sarebbero più stati chiamati per nome ma diventavano solo dei “pezzi” (Stücke) numerati, un numero che erano obbligati imparare a memoria in tedesco, sia a pronunciare che a riconoscere quando si veniva chiamati. Per tutte le operazioni nel campo era necessario usare il numero, sia per ricevere la brodaglia del vitto che nelle estenuanti conte degli appelli; qualunque errore sarebbe stato punito impietosamente.

Dalla pratica del tatuaggio erano esentati i cittadini tedeschi ariani, i prigionieri “da rieducare”, nonché gli ebrei provenienti da Varsavia durante e dopo l’insurrezione del Ghetto nell’agosto-settembre 1942; a costoro era riservato un trattamento di punizione particolare, effettuato con efferratezza e sadismo estremi. Non era necessario registrarli perché sarebbero stati uccisi di lì a poco con modi atroci.
Il numero di matricola, impresso su un pezzo di tela, era anche cucito sul lato sinistro della casacca, all’altezza del torace, e sulla cucitura esterna della gamba destra dei pantaloni. Al numero era associato un contrassegno colorato, che identificava le diverse categorie di detenuto:


un triangolo di colore rosso identificava i prigionieri politici, nei cui confronti era stato spiccato un mandato di arresto per ragioni di pubblica sicurezza;
anche ai religiosi cristiani era attribuito un triangolo di colore rosso, poiché di solito comunque internati in seguito ad azioni repressive naziste;
una stella a sei punte di colore giallo identificava i prigionieri ebrei; dalla metà del 1944 gli ebrei furono contrassegnati come le altre categorie ma con l’apposizione sopra il distintivo triangolare di un rettangolo di stoffa giallo;
un triangolo verde identificava i prigionieri criminali comuni;
un triangolo di colore nero identificava i cosiddetti “asociali”;
un triangolo di colore viola identificava i Testimoni di Geova;
un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri omosessuali;
un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri Rom e Sinti;
un triangolo di colore verde appoggiato sulla base identificava i prigionieri assoggettati a misure di sicurezza, dopo che avevano scontato la pena loro inflitta;
una lettera “E” prima del numero di matricola identificava i detenuti “da educare” (Erziehungshäftling);
un cerchietto di colore rosso recante la sigla “IL” identificava i prigionieri ritenuti pericolosi o sospetti di tentare la fuga;
un cerchietto di colore nero identificava i prigionieri della “compagnia penale”.

Sul triangolo che identificava la categoria, era anche dipinto o impresso con inchiostro l’iniziale tedesca della nazionalità del detenuto, a meno che questi non fosse cittadino tedesco o apolide.

 


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